venerdì 11 gennaio 2019

Caro Faber...


 Quando la luna perde la lana
e il passero la strada/
quando ogni angelo è alla catena
ed ogni cane abbaia/
prendi la tua tristezza in mano
e soffiala nel fiume/
vesti di foglie il tuo dolore
e coprilo di piume/

 
Fabrizio De André, 
"Canto del servo pastore"




ti scrivo nel cuore della notte per quell’irrefrenabile, insano impulso - che conosci a memoria (e, forse, per paura che i pensieri coi rumori del giorno evaporino) - di tentare di mettere in rima i nostri guai migliori. E già, di guai veri ne sono successi da quando te ne sei partito per la Collina, lasciandoci un po’ più soli e orfani a contare le infinite battaglie al calar della sera! Eppoi rammento di quando Lisena, la mia unica sorella che non ha età, portò per la prima volta a casa la tua voce con “Bocca di Rosa” che, come una freccia dall’arco scocca, mi ha trafitto e aperto una ferit(oi)a che non s’è più rimarginata; quella feritoia da cui la tua luce lirica è penetrata senza abbandonarmi più e che da allora mi porta a spasso per il paese tra l’amore sacro e l’amor profano
Ecco perché ogni qualvolta che ti ascolto è sempre la prima volta, come ti ho già detto a suo tempo. La sincerità dei sentimenti e la lucidità del tuo modo di ragionare, di vedere e “aggiustare” le parole con una maestria impareggiabile, mi accompagnano nelle sterrate vie della vita quotidiana, nei giorni feroci celebrativi del nulla come in quelli grandi, fuggevoli, di solitudine... che bella compagnia...





Ecco, allora, che la tua presenza, il senso di gratitudine nei tuoi confronti consola in parte la perdita, la mancanza di cui non si può dire, solo sentire. E mi vien da ridere pensando al putiferio di celebrazioni, di tributi e “cover” che ha suscitato la tua dipartita: una sovraesposizione mediatica che somiglia a un “linciaggio” affettivo postumo - tenuto conto della tua indole schiva - che ti è piovuta addosso, tuo malgrado. Immagino avresti liquidato queste “celebrazioni del ventennale” con un bel “belin...!”, sapendo quanto detestavi le ricorrenze e amavi la vita. E mi stringo forte a Dori, che ti ha saputo su(o)pportare prima, sull’Hotel Supramonte dove avete visto la neve, eppoi , carica d’anni e di castità, nella tua assenza apparecchiata per cena, con speciale dignità.


Con Dori Ghezzi alla presentazione del libro “Lui, io, noi” edito da Einaudi, Stile Libero Extra, 2018


A te che hai saputo leggere dentro le cose con la luce della comprensione senza sottrarti alle contraddizioni e alle miserie della comune condizione umana, che hai indicato il coraggio per divenire gocce di splendore di umanità, di verità, possa Colui che illumina le stelle accoglierti tra i servi disobbedienti alle leggi del branco/ che dopo tanto sbandare è appena giusto che la fortuna li aiuti/ come una svista / come un’anomalia/ come una distrazione/ come un dovere.
 
 p.s.: benchè... “domani sarà un giorno incerto di nuvole e sole”...“Prendi la tua tristezza in mano e soffiala nel fiume, vesti di foglie il tuo dolore e coprilo di piume...”.



 

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