Un'idea mi frulla
scema come una rosa
Giorgio Caproni esordisce così in uno dei suoi memorabili sonetti, eppoi...
dopo di noi non c'è nulla
nemmeno il nulla
che già sarebbe qualcosa.
I poeti, che strane creature, vero? Che belle creature!
Col tempo ho imparato a fidarmi più di loro che dei filosofi, perché promettono di meno ma mantengono di più.
A loro spetta uno dei compiti più strabilianti e ingrati: quello di restituire alle parole la verginità che hanno perduto. Strada facendo può capitare, anche nelle migliori famiglie...
A darci manforte ecco spuntare Ghiannis Ritsos, poeta pure lui e per giunta greco, a rincarare la dose:
"le parole sono come vecchie prostitute che tutti usano, spesso male!"
Insomma, restituire significato, senso, peso specifico alle parole non è mica una parola, giusto?
E non è questione di plurale o singolare, etimologia, semantica e via dicendo; questa è roba da specialisti, e di illustri semiologi - con la Eco - ne abbiamo in circolazione.
Si tratta, piuttosto, di lavoro da certosini, di purissimo artigianato del verbo, quello di ridare dignità alle parole, restituire loro la verginità perduta. La loro essenza, la vita.
Pensiamoci.
"da principio era il Verbo..." (Vangelo di Giovanni 1,1-18)
"considerate la vostra semenza..." (Inferno, canto XXVI)
Pensiamoci al "peso" che hanno le parole.
Perché - com'è esperienza comune nella vita, anche se talvolta diversamente distribuita - esse sono pietre, carezze, veleno o balsamo. Il modo stesso di porgerle, di pronunciarle ci cambia il metabolismo, come un abbraccio, direbbe Charlie Brown!
E allora il poeta - ché di queste cose se ne intende - quello che ab origine alberga dentro ognuno di noi, per farle rivivere le "manomette". Le manomette sì, le smonta e poi le rimonta, le spezzetta e le ricompone fino a restituire loro la dignità originaria, a liberarle. Esattamente come prevedeva un antico istituto del diritto romano - la manumissio - attraverso cui allo schiavo veniva restituita la libertà.
Sapete chi mi ricordano, questi signori? Mi ricordano il lavoro di estrazione dello scultore.
Ascoltate queste "pietre sonore" di Pinuccio Sciola, poi ne riparliamo...
Allora quella "rosa" di Caproni che per Dante rappresentava il Paradiso, pur non riuscendo a dirci cos'era di preciso, perché oltre la rosa non c'è niente, non c'è nemmeno il nulla, che già sarebbe qualcosa; allora, "scema come una rosa" non può essere altro che... sublime!
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